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TENENÒSSE
s.m.
Mangione. Persona che mangia tutto ciò che vuole e con voracità, ma anche persona singolare, estrosa, capace di qualsiasi eccesso. Curiosissimo vocabolo frutto della versione maccheronica popolare della frase contenuta nel Pater noster:Et ne nos inducas(in tentationem). Come nel caso di verbumcaro (ved. infra), qui abbiamo un’altra ipotesi di libera traduzione ed interpretazione popolare di un’espressione latina. La gente di un tempo – che non conosceva il latino e mandava a memoria molti passi delle funzioni liturgiche e delle preghiere – dava spesso, alle espressioni che pronunciava senza capirle, un significato corrispondente alla prima interpretazione del testo, quella più vicina alla lingua italiana e che sembrava la spiegazione, il senso più ovvio. Se aggiungiamo a questo fatto l’usanza, del dialetto garf. (e del toscano in genere), quando incontra parole straniere terminanti per consonante, di raddoppiare quest’ultima, aggiungendo una . finale eufonica (tramme, rumme, autobusse ecc.) ben possiamo comprendere come il verso della preghiera del Pater noster, là dove dice et ne nos inducas fosse diventato, nella dizione popolare, ette ne nosse in du casse. La fantasia popolare poi fece il resto: ‘Tenenosse’ divenne una persona vera, un personaggio favoloso che fu sepolto in due casse perché era diventato tanto grosso, a forza di trangugiare cibo, che una sola bara non era sufficiente a contenere il suo corpo (interpretazione prevalente) o perché era persona così originale e strana, da voler, anche da morto, distinguersi dagli altri, pretendendo d’esser sepolto in due casse (versione, forse, meno comune, ma ben confacentesi alle espressioni fanne più di Tenenosse, esse cume Tenenosse, un tempo abbastanza frequenti in Garfagnana, ma anche altrove, come, ad esempio, in Romagna). La curiosa storia è raccolta dal maestro Valiensi nella poesia intitolata appunto Et ne nos inducas...in tentationem, 96. In essa una mamma vuol mandare a dormire il suo bimbo (che casca dal sonno), ma non prima però che il piccolo abbia detto le orazioni. Il bambino, tuttavia, pretende che la mamma lo accompagni e reciti il Pater noster insieme a lui. Mentre entrambi stanno pregando, il bimbo all’improvviso si rivolge alla madre, dando vita così ad un divertente siparietto che riportiamo integralmente per la sua gradevolezza: “A’n certo punto, come si svegliasse, / Cecco disse a su’ ma’: “Te che lo sai / mi devi di’ alla svelta come mai / Tenenosse lo missino in du’ casse”. “Chetiti, miccio… dorme, che ti piglia, / che voi che sappi, nun lo so gnanch’io / ma che ti vene in mente giuraddio!” / Cecco richiude gli occhi e risbadiglia. / Ora dorme. L’Argnese s’en va via / e brontola, pensando a Tenenosse: / “Quel licusì io non lo so chi fosse / ma ’n d’una cassa, forsi, ’n ci capia”.