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PASIMÀTA
s.f.
Dolce pasquale tipico della cucina della Garfagnana, fatto con farina, uova, zucchero, lievito, burro, uvetta e anicini. Il procedimento di esecuzione è molto complesso ed è descritto con dovizia di particolari ed amore da Alcide Rossi in un articolo apparso su Enotria 1967 n° 2, cui si rimanda. Per chi volesse approfondire ulteriormente l’argomento si segnala il volume La mi’ cucina, 159. Il dolce si presenta come una torta assai alta, di colore bruno, soffice e morbida appena sfornata, e, con il passar del tempo, più consistente. Era usanza che la pasimata venisse benedetta in Chiesa la sera del Sabato Santo e quindi consumata, da sola o con il caffellatte, la mattina di Pasqua. Etimologicamente dovrebbe derivare da passio in quanto veniva fatta esclusivamente durante la Settimana di passione. Battaglia, XII, 766 richiama il tardo lat. paxamadium o paxmadium(dal greco pacsamàdion attraverso il bizantino pacsimàdi, derivato dal nome proprio del fornaio greco Pàcsamos, ideatore di un pane cotto sotto la cenere, ipotetico ‘progenitore’ del dolce garfagnino. Quest’ultima tesi ci sembra eccessivamente elaborata e complessa e poi troviamo difficile accomunare la pasimata ad un semplice pane cotto sotto la cenere, senza contare che, per una sorta di campanilismo gastronomico, non possiamo accettare che il nome di questo dolce, tipicamente garfagnino, debba farsi risalire ad un fornaio greco.