Dizionario garfagnino

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FA’

trans.

Fare, compiere, formare. Pres. indic. io faccio (più raro io fo), tu fai, egli fa, noi facciàm (facciàn) (inesistente famo), voi fate, essi fan (fanno); imperf. iofacévo(facéo, févo), tu facévi(facéi, févi), egli facéva(facéa, féva, féa), noi facévamo(facévimo, facéimo, féamo, févimo), voi facévate(facévite, facévito, facéito, facéite, févite, févito), essi facé-vano (facéano, facévino, févano, févino); fut. io farò ecc; pass. rem. io facétti(féci), tu facésti(fésti), egli facétte(féce (raro ), noi facémmo(fémmo, fécimo, facéttimo), voi facéste(féste, raro fésto), essi facéttero(fécero, fécino, fénno); cong. pres. che io faccia; cong. imperf. che io facéssi, che noi facéssimo che essi facéssero(facéssino raro féssino); cond.io faréi(raro farébbi); imperat. fa’, faccia, facciàm(facciàn), fate, fàccian(fàccin); part. pass. fatto. Alcune voci del verbo fa’ (per esempio io fevo, tu fevi ecc.; tu festi, voi feste, essi fenno; io farei, tu faresti ecc.,) si possono sentir pronunciare con la . aperta. Si tratta di uno dei verbi più generici e più usati del dialetto garf. che, abbastanza povero di voci dal significato specifico (come la maggior parte dei dialetti) impiega fa’in tantissime altre accezioni per le quali la lingua italiana utilizza termini caratteristici come ‘erigere’ (il Togno ha fatto una bella casa); ‘creare’ (per il tu’ compleanno ti farò una puesia); ‘produrre, emettere’ (Il Guverno ha fatto una bona legge); ‘dire’ (mi fece: “veni qui”); ‘eseguire’ (ho fatto quanto m’avevi chiesto); ‘cucinare’ (mi’ ma’ ha fatto i tajarini); ‘raccogliere, metter insieme’ (il farmacista ha fatto un mucchio di soldi); ‘esercitare un’arte o una professione’ (il fijolo del Piero s’è messo a fa’ l’avvocato); ‘eleggere, nominare’ (l’han fatto cavaliere); ‘elaborare’ (il geometra ha fatto un progetto ch’ ’un mi garba). Come intransitivo ‘convenire, esser adatto’ (’un fa’ per me). Il dialetto della Garfagnana inoltre conosce ed impiega il verbo fa’in molte accezioni e in svariate locuzioni, comuni anche alla nostra lingua nazionale di cui ne riportiamo alcune, senza pretese di completezza. Ave’ da fa’(esser occupato); ave’ a che fa’ con qualcun (aver rapporto); sapecci fa’(esser abile); fa’ la festa a qualcun (ucciderlo); fafigura (far impressione, buona o cattiva, secondo l’aggettivo usato ovvero il contesto del discorso o la sfumatura della voce); fa’foco (accendere attizzare il camino); fa’ fortuna (arricchirsi, crearsi una posizione economica di rilievo); fa’ la fame (esser in miseria); fa’ piace’(rallegrare render lieto); fa’ fronte (resistere, affrontare); fa’ a botte (picchiarsi); fa’ a meno (rinunciare); fassi avanti (appressarsi). Singolare l’impiego del verbo fa’nel senso di ‘partorire, figliare’ (Vittorio Pieroni – nella trasposizione in poesia d’un racconto popolare relativo all’incontro fra un cinghiale e due cognate (contenuta nel delizioso, opuscolo di Gian Mirola, 32) per illustrare come una delle due donne fosse in avanzato stato di gravidanza – fa dire alla protagonista: “...cun la mi’ cognata, che a fà j manchin poghe settimane...”). Cfr. anche Fola di una famiglia in Fole di Garfagnana, 1, 66. Altra accezione caratteristica del verbo fa’si ha allorché viene usato per indicare una circostanza normalmente non prevista (qui davero’un ti ci facevo) ovvero per sottolineare un carattere inaspettato di una persona, come a dire ‘non credere possibili determinati atteggiamenti’ (’un vi facèvimo cusì trasandoni). Etimologicamente deriva dal lat. facere ‘fare’.