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UN (’UN)
avv.
Non. Si usa per negare il concetto espresso dalla voce verbale cui viene premesso (’un fa’, ‘’un di’cusí). (Pennacchi, Se artornasse mi pa’, 69: “Son campo sempre cume un poveretto / e’un vojo di’ che fusse tano bello…”; Bonini, E cusì presi moje, 82: dove troviamo sia la forma piana (nun) che quella con l’aferesi (’un): “Nun ci podeo passà da quella via / s’un davo alla finestra una sbirciata”). ’Un viene usato anche nelle interrogative retoriche (’un è vero che iarsera ederi cun me?). Sono tipiche del dialetto garf. alcune espressioni con questo avverbio. Oltre a quelle comuni alla lingua italiana (’un sape’ né legge né scrive; ’un è (’un fa) gnente; ’un mi va; ’un podenne più) segnaliamo ’un ci dice, espressione sinonimica di locuzioni dialettali di altre località, con il significato di ‘non si addice, non è in tono’ e ’un so quanto– equivalente a ‘parecchio, non so quanto’– locuz. idiom. garf. impiegata per esprimere una quantità indeterminata, ma cospicua, di cose o persone ed anche per indicare un considerevole lasso di tempo (ho mangio ’un so quanto; stette via ’un so quanto). Nella novella La ciocchia dell’Argia, raccolta da Venturelli, 252, si legge: “allora ne fe’ una cestata piena e le portò alla fiera e ci chiappò ’un so quanti soldi”. Da segnalare ancora che Valiensi, Il cagio, 113, con formulazione che ci lascia dubbiosi, scrive ’un soquanto, unendo so e quanto, come se si trattasse di un unico vocabolo.