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CÉNCIO
s.m.
Straccio, panno consumato e logoro, indumento o tela di scarso valore; è sost. di larghissimo uso, che tuttavia nel dialetto garf. viene utilizzato più spesso con riferimento non tanto ad uno straccio generico, quanto a quello impiegato per pulire i pavimenti. Si può al riguardo fermare l’attenzione sulla circostanza che nella nostra lingua nazionale l’articolo che accompagna la parola ‘cencio’ è quello indeterminativo (“dammi, passami un cencio”) perché il vocabolo allude ad una qualunque delle sue possibili funzioni, mentre nel dialetto della Garfagnana cencio senza ulteriori precisazioni è (per antonomasia) quello per i pavimenti che viene accompagnato dall’articolo determinativo (passimi il cencio). Anni fa tra i ragazzi era in voga il gioco del cencio mollo le cui regole prevedevano che uno dei partecipanti, munito di uno straccio intriso d’acqua, si ponesse di fronte agli altri giocatori restando immobile e muto per un certo tempo, a volte con il permesso fare smorfie; scaduto il tempo convenuto senza che il concorrente antistante avesse riso, si poneva di fronte a quello successivo e così via finché non avesse riso qualcuno; quest’ultimo allora riceveva in faccia il cencio mollo, e prendeva quindi il posto del compagno che glielo aveva gettato sul viso. Dal lat. popolare cenciusper centius, a sua volta da cento ‘coperta di stracci’ (Borgonovo-Torelli, 71). Devoto-Oli, 443 lo ritengono piuttosto un incrocio tra il suddetto vocabolo e cincinnus ‘riccio di capelli’). Solo lievemente diversa la tesi riportata dal Diz. Etimol. Rusconi, 204 che lo fa derivare dal lat. cincius, da cento ‘coperta fatta con materiale eterogeneo’ e cincinnus‘con molti capelli’.